C’era una volta un imprenditore.
Lavorava ormai da dieci anni, aveva venti dipendenti.
Nei primi periodi le cose andavano bene, tutti erano motivati, si impegnavano, e gli affari conclusi erano moltissimi.
Sia l’imprenditore che i collaboratori erano felici, si sentivano soddisfatti ed anche dal punto di vista economico andava tutto benissimo.
Nel corso degli anni, però, qualcosa si era guastato.
Gli sembrava che le persone non fossero più così contente di venire al lavoro, ogni tanto gli rispondevano male, c’era una brutta aria in ufficio.
Un paio di persone in particolare erano spesso assenti, “oggi sto male, non vengo”, dicevano.
Una si era licenziata: l’imprenditore aveva dovuto investire molte settimane nella ricerca di una sostituta, per poi formarla, imparare a conoscerla e potersi fidare.
Si era reso conto che anche gli affari avevano iniziato a zoppicare.
Complice il brutto clima che si viveva in ufficio, erano scaturiti alcuni conflitti e sembrava che non ci si capisse più.
Il risultato erano consegne in ritardo, alcune erano sbagliate – da rifare!, tanta fatica e poca soddisfazione.
Aveva provato a parlare con i suoi collaboratori, per capire quale fosse il problema, ma i risultati erano stati tremendi: con due persone aveva perso credibilità, con un dipendente era arrivato allo scontro, ed un altro aveva scelto di andare in aspettativa.
In un periodo in cui mantenere un’attività era solo per persone tenaci, coraggiose e capaci di una visione a lungo termine, aveva iniziato a vacillare: i guadagni erano in calo, l’aria in ufficio sempre più pesante, le persone sempre più annoiate e nervose.
“Ma chi me lo fa fare?”, aveva iniziato a chiedersi.
Hai già sentito questa storia?
Ti suona familiare?
Non ti preoccupare: è successo a molte persone che come te gestiscono un’attività!
Andiamo avanti nella storia e vediamo come va a finire, vuoi?
A questo punto della vicenda, il nostro imprenditore ha due strade: quella di cercare di migliorare le cose in autonomia o quella di affidarsi ad una professionista.
Nel caso scegliesse la prima opzione, dovrebbe investire parecchio, sia in termini di tempo che di energia.
Per formarsi, in modo da essere in grado di guidare la sua squadra in una direzione diversa da quella imboccata negli ultimi tempi.
Per individuare e gestire i conflitti – mantenendosi neutrale.
Per rimanere sempre calmo ed obiettivo, gestendo quelle che sono le normali paure quando si affronta un cambiamento.
Per monitorare i risultati (ma prima dovrebbe capire qual è lo strumento di misura più adatto per la sua azienda).
Per individuare ed eventualmente rivedere il suo stile di leadership (rimanendo obiettivo … ammesso che sia fattibile).
Per fare sì che il cambiamento di rotta sia efficace e duraturo nel tempo.
Tutto il tempo e l’energia che il manager dovrebbe investire in queste attività dovrebbe essere sottratto alle azioni di business che solo lui può fare.
In questo caso, il manager correrebbe un bel rischio: togliere tempo alle attività legate puramente al business, rischiare di diminuire i profitti, per perseguire l’obiettivo di migliorare il clima di squadra (senza la certezza di ottenere un cambiamento).
Nel caso invece in cui il nostro imprenditore decidesse di rivolgersi ad una professionista, come andrebbero le cose?
La consulente verrebbe in azienda come osservatrice, a vedere quale sia effettivamente la criticità, e la sua entità – lui continuerebbe a lavorare come sempre, senza perdere tempo: l’osservazione sarebbe in modalità “shadow”, tutto andrebbe avanti come al solito.
L’unica differenza sarebbe data dalla presenza della consulente ad osservare la situazione, prendere qualche appunto e individuare i non detti.
(Ebbene sì, perchè sono proprio i non detti, spesso e volentieri, a fare la differenza nelle aziende e negli studi professionali.
Sono molto potenti, possono bloccare la comunicazione e rendere macchinosi dei processi che altrimenti sarebbero fluidi ed efficaci.)
Torniamo alla storia del manager che ha ingaggiato la consulente.
Dopo la prima osservazione, seguirebbe una fase di consulenza: la professionista riporterebbe al manager le criticità riscontrate – che potrebbero essere le stesse da lui rilevate, ma anche diverse.
In quell’occasione, all’imprenditore verrebbe spiegata la strategia da adottare, e verrebbero definite le tempistiche.
Subito dopo, verrebbe la parte più divertente per tutti: la formazione ed il coaching, incentrati sullo sviluppo dei singoli e quindi del gruppo (perchè sappiamo che il gruppo è più che la somma dei singoli, vero?).
Al termine del progetto (che durerebbe tra le 4 e le 10 settimane), il manager otterrebbe:
– miglior comunicazione
– maggior fiducia all’interno del team
– cambiamento duraturo nel tempo (monitorato tramite follow-up periodici)
– uno stile di leadership efficace per l’ambiente in cui opera
– aumento del livello di benessere percepito
– trasformazione orientata all’efficienza
– arricchimento: relazionale ed economico
… e nel frattempo avrebbe potuto dedicarsi alle attività di puro business più redditizie.
Come vedi, l’esito dipende da un solo fattore – come sempre succede quando si gestisce un’attività: dalle scelte del titolare.
Tu quale finale vorresti scrivere?
